
Siamo sicuri che Il nostro servizio possa interpretare la manifestazione di Dio?
Quello che io sto facendo manifesta l’amore di Dio?
In realtà, non basta fare il mio dovere tecnicamente, ma devo interrogarmi ogni giorno, se il mio operare manifesta l’amore di Dio. Se tutto quello che faccio lascia trasparire, nelle azioni della carità, l’amore di Dio che scaturisce dalla fonte.
Ho un mio dovere, chiedermi ogni giorno, se le mie prestazioni, attività, apostolato … parlano di Dio, manifestano Dio.
Domandarmi se quelli che ricevono il messaggio, davvero percepiscono la grandezza di Dio, fanno l’ esperienza di Dio!
Devo impegnarmi a creare negli altri uno spirito creativo, solidale, capace di condividere.
Il Carisma
Condividere le nostre esperienze e la nostra spiritualità che appartiene al carisma. Tradurre il nostro carisma in termini accessibili a tutti. Può scegliere il carisma unicamente chi ha fato amore con il carisma.
Tradurre quello che abbiamo ricevuto in lingua locale, cioè incarnarsi nel carisma e trasmettere agli altri quello che abbiamo ricevuto. Io devo provvedere a tradurlo, senza aspettare che siano gli altri a venirmi incontro. Ritradurre quello che io ho ascoltato in parole di sintesi originali, sarà la maniera che io evangelizzatore diventi evangelizzato.
Che pensano i nostri collaboratori del nostro carisma?
Cosa ho fatto o faccio per ravvivare il carisma?
Quanto ci lasciamo evangelizzare dalle persone che noi serviamo?
Capacità di condividere.
La condivisione non è una tècnica che si impara, ma deve essere un modo, uno stile di vita, una maniera carismatica di vivere. Un stile di vita che partendo da dentro di noi si manifesti anche al esterno.
Tradurre il carisma in lingua “secolare” in termini facili che tutti possono capire, prima di tutto, fa’ del bene a me stesso. Questo però, non può essere fatto da soli, ma deve essere un’opera comunitaria. Il nostro carisma deve essere portato avanti da tutti o non ci sarà nessuno a farlo. La spiritualità del carisma mi è stata data per condividerla con gli altri. Il dono dello spirito lo si capisce quando viene condiviso.
Capacità di comunicare
La qualità della comunicazione nelle nostre comunità è poco condivisa. La comunione dei beni spirituali nelle nostre comunità, tra di noi, è di scarsa qualità, poco rilevante.
Invece, la nostra comunicazione deve essere molto naturale, perché è la ragione principale che ci fa essere religiosi in comunità. Per vivere insieme ho rinunciato tante altre cose, ugualmente importanti.
Il religioso scopre la propria identità “sul suo carisma”. La spiritualità non può essere soltanto personale, ma necessariamente deve essere comunicata e condivisa.
La comunicazione non può essere sopportata ma deve essere “coscientizzata”, compartecipata. Una comunità vera condivide i doni spirituali. Ascoltarci, imparare a fare, leggendo nella vita i passi che Dio fa’ in noi, sono importanti obiettivi da acquisire e importanti passi da fare.
Essere Responsabili gli uni dagli altri.
Conseguenze di questa riflessione:
· L’individualismo è il primo responsabile dell’insensibilità nei confronti degli altri.
· La mancanza di comunicazione, genera comunità deboli e poco fraterne.
· Si creano autentiche comunità, quando si fraternizza con le persone e si scambiano idee sulla nostra vita.
· Quando non c’è comunicazione nelle comunità, ciascuno finisce per badare solamente ai propri interessi, seguendo a un suo unico progetto.
· La comunità sarà meno autentica se sarà individualista e vi sarà insensibilità verso l’altro.
Io ho bisogno dell’altro
La povertà di comunicazione spirituale impoverisce i rapporti. Accorgersi della “crisi” del confratello vuol dire, essere attenti alle esigenze comunitarie e crescere nella sensibilità per rendersi conto delle cose che non vanno bene e insieme cercarne le soluzioni. Creare un clima favorevole di comunicazioni reciproche nel cammino spirituale. Noi abbiamo bisogno dell’altro, della sua parola, della sua esperienza e della sua presenza.
Vita comunitaria
La vita consacrata è essenzialmente vita comunitaria. Quando non c’è vita comunitaria profonda, si cerca compensazioni fuori dalla casa e questo diventa un stile di vita parallelo, diventa compensazione.
L’essere comunitario” riguarda sempre al nostro rapporto con Dio, risalta l’importanza delle relazione fraterne.
“Cani sciolti” è come dire religiosi che non si sentano appartenenti e rimangono da soli. È non sentire nessun legame con il carisma.
Per favorire il cammino di tutti, la condivisione è naturale, per questo non va dimostrata, va vissuta. E cosi, la Povertà sarà vera e verrà creduta con la condivisione dei beni spirituali. Anche l’Obbedienza sarà un modo spirituale di vivere uno stile di vita, che sempre ci porterà alla condivisione.
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