Esta es la juventud del Papa

Esta es la juventud del Papa

domenica 31 luglio 2011

Davide danza con tutte le sue forze davanti all’arca’ spoglio delle vesti regali. La danza è la fatica e la gioia di stare davanti a Dio senza preoccuparsi degli altri, senza le vesti del ruolo e delle aspettative altrui. Mikal vede e disprezza e Davide reagisce rispondendo con quelle belle e arrabbiate parole:Io ho danzato davanti a Dio!” Davanti a Dio non occorrono le vesti e l’immagine, non serve il ruolo. Davanti a Dio danza come si è, poveri, ma con gioia davanti a lui. Danzare davanti a Dio significa preoccuparsi di lui e no di se stessi: ciò che conta è lui, tutto il resto è dimenticato.
Mikala alla finestra è l’immagine della nostra paura del giudizio degli altri che blocca il nostro stesso rapporto libero con Dio. Ma io danzo davanti a Dio, dice Davide; cosa mi importa di quelli che alla finestra ridono o commentano? Io danzo per Lui.
Testimone
Un giovane aveva scoperto la preghiera attraverso alcuni incontri sulla lectio divina con un bravo sacerdote. Era un giovane in ricerca vocazionale e aveva già fatto un camino di fede, ma l’esperienza di preghiera era sempre stata debole. Aveva detto: “ avevo già un direttore spirituale,ma non mi ha mai insegnato a pregare così”. E aveva aggiunto, quasi soprapensiero, quasi senza una piena consapevolezza di quello che stava dicendo: “Forse perché lui non aveva molto tempo per pregare”.
Un prete -(ognuno che fa DS) - che si pone anche come guida spirituale, che è molto impegnato con i giovani,ma che non ha tempo per pregare, non diventi problema, poi l’esperienza diventa questa: parlo agli altri di ciò che forse so, ma che non sto vivendo che percepisco di non stare vivendo.
Cresce il disagio di un ruolo sempre più difficile. Finiamo per parlare di quello che non conosciamo più. Tutto quello che diciamo, che predichiamo, che scriviamo, sembra non trovare eco: non preghiamo. Se non abbiamo affrontato, non affrontiamo la nostra realtà come potremo insegnarla ad altri?
La comprensione di sé diventa anche servizio all’altro. Forse a volte abbiamo paura di investire in una migliore conoscenza di noi stessi; temiamo sia un esercizio un po’ sterile di ripiegamento su se stessi, ricerca di perfezionismo, perdita di tempo, o mancanza di perfezionismo, perdita di tempo, o mancanza di semplicità e di abbandono. È invece premessa a un ascolto degli altri che sa accogliere dal di dentro; è lavoro previo in vista di un servizio all’altro più libero ed efficace e quindi una forma di autentica carità.

venerdì 29 luglio 2011

Saper fare e ricevere critiche.
(Questa pagina la scrivo specialmente per me)
Quando fai critiche:
• Evita di farle in presenza d’altri. Anche se la tua critica è valida e costruttiva, diventerà distruttiva se la persona a cui è rivolta si sentirà “accusata” davanti a “testimoni”.
• Non fare paragoni. Non c’è cosa peggiore essere paragonati ad altri. Il paragone fa scattare subito la molla del falso orgoglio e innesca l’ira. E addio sano confronto.
• Evita di fare dell’ironia. Meglio dire chiaramente come stanno le cose che guarnirle di battutine, sorrisetti, e false approvazioni. Non è possibile avere un costruttivo confronto con una persona che si sente presa in giro.
• Non usare termini assoluti. Quando esprimi un tuo giudizio non dare l’impressione che sia etto e immodificabile, Cerca di smussare le parole. Cerca di ridurre la spigolosità del tuo parlare. Una cosa è dire: “Non ne fai una giusta”. Un’altra è dire” secondo me quella cosa andava fatta così”. Una cosa è dire: “Ciò che affermi è sbagliato”. Un’altra è dire “Io penso che ciò che affermi possa essere inesatto.
Quando ricevi critiche.
• Mantieni la massima calma. Non reagire subito se ascolti accuse che ritieni infondate. Aspetta pazientemente che l’interlocutore abbia terminato la sua “arringa”, poi controbatti con calma, cortesia e razionalità.
• Non dare l’impressione di tenere in scarsa considerazione la critica che ti si sta muovendo. Se ti sembra di poco conto non scherzare su di essa.
• Non esagerare quanto ti viene detto. Se qualcuno ti dice che in una data circostanza hai adottato un comportamento non appropriato, non ti sta certo dicendo che sei la persona più cafona del mondo. Se qualcuno ti dice che hai sbagliato nel dire o nel fare una cosa, non ti sta certo dicendo che sei la persona più stupida che esiste sulla terra.
Evitare gli scontri
Quando la persona con la quale ti confronti aumenta il suo grado di emotività o ti aggredisce verbalmente, non reagire. Mantieni la calma. Non lasciarti coinvolgere. Ha bisogno di sfogarsi, di scaricare la tensione accumulata durante la giornata. O forse vuole prendersi delle sciocche rivincite su di te. Lasciala fare. Quando poi ha finito di sbraitare, cerca di indirizzare il dialogo nella direzione di un sano confronto. E se non ci riesci, rimanda il confronto ad un’altra occasione: a quando il tuo interlocutore non sarà in balia della sua rabbia e della sua aggressività.
Evita gli scontri, ti raccomando. Quando ti trovi in una situazione psicologica di accentuata emotività o rabbia, non iniziare nessun confronto. Si trasformerebbe in scontro. E lo scontro è sempre dannoso. Se t’accorgi che il tuo interlocutore non è sereno e vuole attaccare briga ad ogni costo, vattene in un’altra stanza, ma evita lo scontro. Perché lo scontro è sempre dannoso.
Ricorda: DI SOLITO NON HA RAGIONE CHI ALZA LA VOCE, MA CHI NON RIESCE A FARSI COINVOLGERE DA CHI ALZA LA VOCE.

giovedì 28 luglio 2011

In quei giorni, Mosè eseguì ogni cosa me il Signore glia aveva ordinato: così fece. … Es 40 ss
In un progetto che fai tu c’è la programmazione, ma se il progetto è di un Altro, lui non te lo manifesta e ti dice: “ vai avanti”, e io vado fin lì. Poi me dice: “ Vai là” e vado fino là. Alla fine abbiamo percorso tutto il deserto. Signore, perché mi hai fatto fare la strada così lunga, dove mi hai mandato?. Lui risponde: “Ti ho mandato là perché ti incontrassi con me”. Il nostro segreto è di essere capaci di sentire la parola di Dio e di avere il discernimento della guida di Dio. Il Signore cammina con noi! Che bello! Quando siete riusciti ad essere strumenti di Dio è perché Gesù cammina in mezzo a voi.
Mt13,47ss
"… Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a ria, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi, Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti."
Le rete piene di pesci buoni e cattivi significa la presenza dei buoni e cattivi cristiani. Ciò comporta lotte, difficoltà sofferenze. Appartiene certamente al Regno di Dio chi vuole fare la sua volontà come è fatta in cielo. Appartiene sicuramente al Regno colui che rimuove le cause dell’emarginazione, dell’oppressione, dell’esclusione. Appartiene al Regno di Dio chi ama il nemico anche mentre sta ricevendo del male! Appartiene al Regno chi prega, sapendo che soli in Dio si può trovare un’unità necessaria per ogni progresso spirituale e materiale.

martedì 19 luglio 2011

Volontà di cambiare.
Il coraggio è fondato sulla speranza, ma è l’azione che lo rende operante. Non fare come quelli che vorrebbero tingere di rosa la loro vita, ma non s’informano neppure dove vendono pennelli e colori.
Colui che spera deve anche auto caricarsi della forza morale necessaria a superare le difficoltà della vita.
Se il coraggio è fondato sulla ragione, guadagna in perseveranza. Se è fondato sull’entusiasmo, fa aumentare tecniche adatte al caso.
L’accettazione di sé è la più importante tecnica psicologica da usare per raggiungere il vivere felici. Non solo. L’accettazione di sé rende più armoniosa la propria personalità . la propria mente, e la propria vita.
Perché quando ci si accetta: incondizionatamente pienamente, completamente, la propria vita interiore diventa più serena. E vivere diventa un bel vivere.
Pro memoria: “Per vivere più felice devo accettarmi.”

lunedì 18 luglio 2011

GruppoFermento

"Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti". Matteo 13,33
Che significato ha oggi per noi questa parabola di Gesù. Ecco alcuni spunti :
• Ciò che cresce non è il lievito, ma la pasta. Si tratta di una cosa ben di casa, del lavoro di una donna di casa. Il lievito si mescola con la massa pura della farina. L'obiettivo è far fermentare tutta la pasta, non solo una parte. Il lievito non ha valore in se stesso, ma serve per far crescere la pasta.
Come mettere in pratica nell’Opera don Calabria questa Parabola, come gruppo fermento? Chissà per capire meglio sia necessario un altro messaggino:
• Una madre, insegnante, va a lavorare lasciando il figlio con la nonna. Più tardi, la nonna prende la mano del bambino di cinque anni e vanno a passeggio. Camminando si avvicinano ad una chiesa, entrano e si inginocchiano. Passano pochi minuti e il bambino tirando la manica della nonna dice: -“Nonna, fino a quando ci fermiamo? La nonna si alza, si avvicina alla lampada rossa che indica la presenza viva di Gesù nel Tabernacolo, e rivolgendo lo sguardo gli dice: -“Vedi questa lampada è come un semaforo, quando diventa rosso uno deve fermarsi.” Ritorna al posto di prima e continua la preghiera. Il bambino, anche lui in ginocchio, con lo sguardo fissato alla lampada rossa, già stanco tirando ancora la blusa della nonna dice: “ … Non diventa mai verde questo semaforo?” – “Piccino mio, questa luce non diventa mai verde, perche qua vive Gesù e nella sua casa uno deve fermarsi per ascoltare e ricevere le luci che ci aiutano ad avanzare sicuri per le sue vie.” Più schietto è il mio rapporto con Dio, meglio saprò essere … con tutto il mondo!
Il nostro gruppo fermento non si ferma per vacanze, ma fa’ una nuova proposta, cioè, uno può fermarsi con Lui, ogni lunedì, dalle 8:30 fino alle ore 9:00, o il venerdì, dalle 12:30 alle ore 13:00. Ciascuno di noi potrà scegliere l’orario e il giorno che meglio conviene. Fermiamoci in preghiera per camminare insieme!

domenica 17 luglio 2011

Vanagloria.

Un grande rimedio alla vanagloria suggerito dai Padri era la compunzione, il ricordo dei propri peccati o della morte. Questa terminologia appare forse un po’ lontana dalla mentalità corrente e i formatori o i superiori potrebbero essere intimiditi all’idea di utilizzarla, nel parlare ai confratelli o ai novizi.
La vita consacrata è però attesa escatologica e non può dunque vivere, nei confronti della morte, solo sentimenti di paura e di inquietudine, Imparare a porre davanti agli occhi un orizzonte eterno è un elemento indispensabile della nostra vita: esso ci proietta in una prospettiva corretta rispetto al tempo e rappresenta anche un giusto farmaco per le nostre tendenze esibizionistiche.
Un rimedio utile per combattere la vanagloria è l’attenzione al modo di parlare di se stessi. È sempre importante sapersi chiedere quanto e come parliamo di noi. A proposito del quanto, ci possiamo domandare, per esempio, se vogliamo essere sempre al centro dell’attenzione e aspettiamo che gli altri tacciano, o talvolta non li lasciamo nemmeno finire, per riportare il discorso su temi riguardanti la nostra persona. Per ciò che concerne il come, è invece bene chiedersi non solo in che misura tendiamo a mettere in risalto ciò che facciamo o i nostri talenti, ma anche quanto siamo disposti a esporci nel nostro limite; spesso, infatti, siamo esperti nell’usare un “linguaggio criptico”, il cui scopo è di mascherare od omettere errori e vulnerabilità personali.
Altro rimedio è l’attenzione contraria, quella al modo in cui parliamo degli altri, che la vanagloria ci spinge a ignorare, se non a denigrare o non apprezzare per il timore che le loro qualità offuschino la nostra immagine.
Basta per oggi.