Esta es la juventud del Papa

Esta es la juventud del Papa

domenica 17 gennaio 2010

In questo momento sto pensando ad alta voce … e lo faccio scrivendo! All’inizio o anche alla fine della giornata mi accompagnano tanti pensieri. Riflettendo sulle notizie del giorno mi pongo alcune domande: com’è possibile non vedere che le mie difficoltà sono nulla in confronto a ciò che succede accanto a me ed altrove? Molte volte rimango senza parole, vergognandomi per i miei lamentii e per la mia mancanza di sensibilità.
Più volte rimango male e mi lamento perché qualcuno non mi scrive, qualcun altro rimane immerso nelle sue occupazioni e altri mi hanno risposto male, mentre magari sono io stesso che vado in cerca di carezze o necessito di essere posto al centro di tutto o di tutti, giudico con facilità e mi credo importante. Senza rendermene conto sono quello che deve cambiare per inserirmi con la mia sensibilità…. O Dio mio, che lento cammino nelle tue cose, quanto tardo a capire le tue vie!
Osservo e penso … la mia Comunità, i miei amici, i miei confratelli, un po’ tutti … viviamo le stesse cose, tutti facciamo gli stessi percorsi di vita. Forse non ci rendiamo conto di non preoccuparci degli altri, viviamo senza la gioia di vivere, reclusi in noi stessi pieni di disgusti, di carenze pensando di essere indispensabili, sempre occupati senza mai trovare il tempo per il silenzio profondo, o per gioire praticando il calcio, facendo sport, ascoltando musica, godendo del mare, della montagna o del sole, “perdendo tempo” con il fratello … invece più delle volte finiamo scegliendo” la solitudine, lontano da tutti, da se stessi e con un Dio molto personale.
Nella Congregazione vi sono diversi “over …” (me incluso), immersi in questo stato di cose, ed il problema si complica quando confratelli più giovani si sentono portati a seguire questo stile di vita. L’accumulo degli anni dovrebbe portarci ad una vita piena di saggezza ma purtroppo non sempre questo avviene e spesso finiamo impegnati senza un momento di tranquillità da dedicare a se ed agli altri perché “abbiamo sempre tanto da fare”. Un’altra cosa che mi preoccupa ancor di più, è che non si vede il bisogno di mettersi in discussione, che cosi va tutto bene, sono sempre gli altri che sbagliano e che quindi devono cambiare.
“No” dico io, “non voglio ripetere la loro storia” pensando di essere fuori dal circolo. Negli ultimi anni molti religiosi hanno lasciato la Congregazione, insoddisfatti di questo modo di vivere la vita consacrata che non era più consona alla sua missione iniziale. Più volte mi sono seriamente domandato su quello che succede e mi rimane in bocca un sapore amaro, guardando come tanti fratelli prendono un altro cammino.
Le vocazioni future, “mancanza di vocazioni”, sono un’altra grossa problematica! Sicuramente ci sono tanti giovani vocazionali ancora, ma senza l’entusiasmo e la capacità di coinvolgimento e di ascolto da parte di coloro, “parte, mia, nostra, noi religiosi”, difficilmente avremo la possibilità di veder crescere il numero dei nostri aspiranti religiosi.
Dio mio, che grande responsabilità!
Nel vangelo di Marco, capitolo 1,40-45 troviamo un esempio che può aiutare quanto è stato detto fin’ora. Mi viene la tentazione di comparare il lebbroso alla nostra solitudine. Gesù non rimane indifferente dinnanzi al grido o al silenzio di chi soffre. Si commuove dinnanzi alle nostre tristezze e alle nostre malattie interiori che ci lasciano privi di forza lungo le strade della vita. Io penso che alla “lebbra della solitudine” manca la medicina miracolosa dell’AMORE. Manca amore, manca compassione, manca la capacità di rompere i vecchi schemi e di rimettersi in gioco ogni volta per accettare l’invito che Gesù ci fa, di stendere la mano e incamminarsi senza paure o pregiudizi verso il vero senso della vita che è l’amore. L’amore, lo sappiamo bene, è la cosa più fragile che esista al mondo. E’ vulnerabile a causa della libertà delle nostre scelte. La felicità di appartenere a Dio è inalterabile, è quella della pienezza dell’amore. La sua compassione si riversa sul lebbroso, l’emarginato, l’isolato, l’escluso… Bene e se questo lebbroso fossi proprio io? Se non avessi aiuto da alcuno e mi trovassi completamente solo? Chi è solo spiritualmente perde la voglia di vivere, non ha nessuno da amare e da cui lasciarsi amare. Il suo cuore è prosciugato da sogni e da speranze. “Voglio guarire” dice il lebbroso. Ed il lebbroso riacquista la purezza della sua dignità, è pronto a costruire relazioni degne di un uomo, ritorna in mezzo alla gente. Guarito da Gesù, il suo cuore è di nuovo pronto ad amare. Adesso può gridare e proclamare le meraviglie che Gesù ha operato in lui. Al grido di “voglio guarire”, il lebbroso ha trovato aiuto, ha trovato pace. L’uomo malato manifesta totale fiducia in Cristo, al suo volere.
Gesù desidera guarire il mio cuore, trasformare la mia vita. Gesù mi aiuta solo se io voglio che la cura entri in me.

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